Percorrendo in auto la pianura tra Bologna e Ravenna, capita spesso di notare come le strade di campagna seguano linee sorprendentemente dritte, intersecandosi ad angoli perfetti. Non è un caso: questo reticolato quasi perfetto è l'eredità visibile di un'arte antica che univa in modo affascinante la geometria terrestre con l'osservazione del cielo. I romani chiamavano questi professionisti "mensores" o "agrimensores", e il loro lavoro non si limitava a misurare campi con corde e paletti, ma richiedeva una conoscenza approfondita dell'astronomia.
L'agrimensura affonda le sue radici nell'antico Egitto, dove le periodiche inondazioni del Nilo cancellavano i confini dei campi, rendendo necessarie continue misurazioni. Gli egiziani svilupparono tecniche rudimentali, spesso imprecise, che si tramandarono per secoli. Ma furono i Romani a trasformare questa pratica in un'arte sofisticata, intrecciando sapientemente osservazioni celesti e misurazioni terrestri.
Per i romani, tracciare i confini non era solo un atto tecnico, ma anche sacro. Gli agrimensori erano gli eredi degli àuguri, coloro che interpretavano la volontà degli dei osservando il cielo. Non a caso, la divisione del territorio imitava le linee celesti che l'àugure tracciava con il suo bastone ricurvo, il lituo, per contemplare il firmamento. Questa connessione tra cielo e terra non era solo simbolica: era il fondamento pratico dell'intero sistema di misurazione romano.
Il cuore del metodo agrimensorio romano consisteva nel tracciare due linee perpendicolari che dividevano il territorio: il "decumanus maximus", teoricamente orientato da est a ovest, e il "cardo maximus", che doveva correre da nord a sud. Queste due arterie principali creavano quattro regioni, a partire dalle quali si tracciavano linee parallele che dividevano il suolo in parcelle rettangolari chiamate "centurie", ciascuna di duecento iugeri (circa cinquanta ettari).
Ma come facevano i periti a stabilire con precisione queste direzioni cardinali, senza bussole o strumenti moderni? Qui entrava in gioco l'astronomia. Gli agrimensori romani avevano sviluppato procedimenti astronomici sofisticati per determinare la direzione del cardine e del decumano. Uno dei metodi più affascinanti, tramandato dallo scrittore Igino, consisteva nell'osservare l'ombra di uno gnomone – essenzialmente un palo verticale – in tre momenti diversi della stessa giornata. Misurando attentamente queste tre lunghezze d'ombra e applicando calcoli geometrici, il perito poteva tracciare con precisione la linea meridiana.
Un altro metodo sfruttava l'osservazione del sole nascente. Gli agrimensori osservavano il punto esatto dell'orizzonte dove sorgeva il sole, applicando correzioni in base alla stagione per compensare lo spostamento apparente del sole lungo l'eclittica. Questo richiedeva non solo attrezzature adeguate ma anche una solida conoscenza dei movimenti celesti e del calendario.
La precisione era fondamentale perché da queste linee maestre dipendeva l'intera struttura catastale. Ogni centuria veniva identificata dalla sua posizione rispetto al decumano e al cardine: ad esempio, "sinistra decumanum II, citra kardinem XI" indicava una parcella specifica del reticolato. Errori nell'orientamento iniziale si sarebbero propagati su tutto il territorio, causando dispute legali e confusione amministrativa.
Lo strumento principe degli agrimensori era la groma, una croce metallica sospesa verticalmente che permetteva di tracciare angoli retti perfetti. Ma prima di usarla, prima di misurare qualunque distanza, il perito doveva "posare auspicalmente la groma" – come dicevano i testi antichi – cioè stabilire l'orientamento astronomico del punto di partenza attraverso riti e osservazioni celesti.
Nella nostra pianura, questa eredità è ancora tangibile. La via Emilia stessa, la grande strada consolare costruita nel 187 a.C., fu utilizzata come decumano massimo per la centuriazione del territorio circostante. Ancora oggi, guardando le foto satellitari o le mappe catastali, si riconosce il reticolato romano: strade che corrono parallele per chilometri, canali d'irrigazione che seguono tracciati antichissimi, confini di proprietà che rispettano divisioni stabilite duemila anni fa.
Questa fusione tra astronomia e agrimensura si mantenne viva attraverso i secoli, anche quando la conoscenza geometrica regredì durante il Medioevo. Curiosamente, proprio l'empirismo dei pratici preservò metodi e formule che gli studiosi consideravano troppo rozzi per essere tramandati nei testi colti. Gli agrimensori medievali continuarono a usare tecniche derivate dagli antichi Egizi, dai Greci di Alessandria e dai Romani, spesso senza comprenderne pienamente i fondamenti teorici, ma conservandone l'efficacia pratica.
Guardare oggi una mappa catastale dell'Emilia-Romagna significa quindi osservare una sorta di fossile culturale: la testimonianza fisica di un'epoca in cui misurare la terra significava prima di tutto saper leggere il cielo, e in cui i periti agrimensori erano anche, necessariamente, osservatori delle stelle.
Bibliografia, link ed altri documenti utili per la scrittura dell'articolo:
-
Approfondimenti:
- Studi sugli Agrimensori Romani: per un commento a Hyginus Maior – Tesi di Libera Alexandratos - Università degli Studi di Bologna - Dipartimento di Filologia Classica e Medioevale - Anni Accademici 2003-04, 2004-05, 2005-06
- Degli agrimensori presso i Romani antichi – Ragionamento del Professore D. Stefano Ciccolini – Roma, coi tipi della S.C. de Propaganda Fide (1854)






