Quale paese, anche il più piccolo, non ha almeno un palazzo conosciuto da tutti, magari per la sua centralità o perché in tempi passati in quel luogo è successo qualcosa di particolare? Non parlo di una Villa o di un bene storico-architettonico, ma di un luogo legato alla memoria della cittadinanza ed alle sue consuetudini.
Ecco, la Mota è proprio questo: è stata costruita in tempi in cui le strade non avevano nomi, è un edificio talmente radicato nel terreno su cui sorge, che ha preso nomenclatura proprio da esso.
I nomi di questo edificio, Motta o Mota, hanno due significati totalmente diversi ma in questo caso strettamente collegati, poiché ci danno un'idea dell'evoluzione del terreno sul quale oggi l'edificio sorge.
Motta significa rilievo, altura. Mota significa fango, terra. In passato, questo edificio veniva chiamato "La Motta" poiché sorgeva su un antico rilievo che serviva a scopo difensivo. Poi qualcosa è cambiato, forse nella forma dialettale, forse un errore di trascrizione o l'innalzamento del suolo che ha spianato il terreno attorno ad essa: è diventata "La Mota". E così è rimasta fino ad oggi.
Veniamo alla struttura dell'edificio: è un "casermone" rettangolare di 800 mq di superficie (durante l'ultima ristrutturazione c'è voluto un giorno intero per montare le impalcature), ha un'architettura decisamente insolita e gli appartamenti sono "incastrati" l'uno dentro l'altro in modo inconsueto e curioso.
Altro segno del legame che la Mota ha con la terra sono i soffitti in gesso costituiti da arelle delle canne, provenienti dalle paludi o dalle colture della zona.
Ha due entrate, la prima in Piazza della Libertà (lato ovest), la seconda in Via Giovanni XXIII (lato est), ma anche diverse scale nascoste, murate ed in disuso da secoli, che non si sa dove portassero o che destinazione avessero. Una di queste permetteva senz'altro un passaggio diretto da una parte all'altra dell'edificio senza necessità di uscirne. Tutti questi elementi portano a supporre che l'edificio in passato non fosse destinato ad uso abitativo, come invece è oggi, ma ad uso difensivo.
La Mota era "scaldata" da un'infinità di camini, cosa che ha reso particolare il suo tetto, costellato di comignoli. Alcuni di questi, come quello che si trovava in casa mia, occupavano anche un'intera parete di 4 metri: lo chiamavano il "Camino Matilde di Canossa", in onore della Contessa che possedeva questi territori.
L'edificio aveva una nicchia posta nell'angolo ovest, all'altezza del primo piano, che conteneva una "Madonnina" con lumino: era usata come segnalazione per chi arrivava da Cento coi carretti, per andare a Bologna. Immaginate un paese avvolto da una fitta nebbia o dalla neve e saprete quanto questo lume dovesse essere importante per capire dove ci si trovava e che si era arrivati ad Argelato.
Nella Mota in passato non c'erano bagni, ma il Bassocomodo, un piccolo edificio accessorio di due piani, composto da bagni e lavanderia, probabilmente sorto contemporaneamente ad essa. Oggi questo edificio accessorio è stato ricostruito ed ospita le cantine. Ma ancora lo chiamiamo Bassocomodo, tanto per non dimenticare le sue origini.
A proposito di bagni, Enzo Ziosi (che è nato ed abitava al terzo piano della Mota), mi ha raccontato che intorno agli anni '50 "Al Lantarnér" (il lattoniere Veronesi) dimostrò la sua grande abilità e capacità di innovazione portando al terzo piano le condotte per installare i servizi igienici. Perciò, Enzo aveva il bagno in casa ed era una cosa così "moderna" per quei tempi che spesso i suoi amici lo prendevano in giro, dicendogli: "Stai zitto te, che hai il 'cesso' in casa".
Altra questione interessante sono i piani: il piano terra e gli appartamenti al primo piano hanno
soffitti molto bassi, il secondo piano li ha di 4 metri, il terzo piano (o sottotetto) li ha alti fino a 10 metri. E' certamente una struttura insolita e asimmetrica.
Inoltre, su diverse piante antiche, l'edificio viene raffigurato con il piano terra e due piani. E' possibile che nei secoli siano state operate delle sostanziali modifiche allo stabile, per esempio aggiungendo il terzo piano, come testimoniano lo spessore inferiore delle sue vecchie pareti rispetto agli altri due piani, analoghe vicissitudini architettoniche del Palazzo Sampieri-Talon (a cui fu aggiunto un piano nel 1700), o i chiodi utilizzati per il sottotetto.
Nel 2012, infatti, il tetto è stato completamente ricostruito e ho conservato uno dei suoi vecchi chiodi. Da una ricerca su internet, ho scoperto che la sua fattura, assolutamente artigianale, fa risalire la costruzione del tetto a prima dell'Ottocento, cioè precedentemente all'industrializzazione.
Questi elementi non escludono eventuali altre ipotesi, ma il dubbio è lecito, soprattutto per un edificio che sembra essere stato costruito nel Medioevo: si dice infatti che durante i lavori di ristrutturazione sia stata trovata una tavola in legno sulla quale era incisa la data di costruzione dell'edificio (1384), ma senza la prova fisica (non si sa dove sia finita la tavola) anche questa rimane una leggenda. Però è utile a capire da dove nascono i dubbi e da dove cominciano le ricerche.

Una cosa è certa: "La Mota" è un mistero e questi segreti che da secoli porta in grembo sono per me motivo di studio ed appassionata ricerca.
Un ringraziamento a Lia Virgilio, Enzo Ziosi e Romano Guizzardi per gli spunti forniti per questo articolo ed a Miria Cervi per l'immagine dell'affresco sul campanile della Parrocchia di S. Michele Arcangelo.